C’è qualcuno che sui sentimenti che il gioco del calcio sollecita ci ha costruito un impero economico e politico, che gli italiani, forse come solo gli inglesi in Europa fanno, scandiscono i loro tempi politici-sociali sul campionato del calcio. Quel furbacchione di B. non per niente chiamò il suo partito con lo slogan di chi è tifoso della Nazionale.
A Londra in qualsiasi pub si entri, a qualsiasi ora del giorno e della sera, oltre che fiumi di birra e aperitivi vari, scorrono sullo schermo piazzato in un angolo, le immagini di una partita di calcio. E c’è qualcuno che la guarda. Noi abbiamo imparato a usarlo altrettanto bene quale fonte di diritti televisivi.
Perché il calcio è la metafora della vita. Il calcio avvicina, affratella, il calcio divide.
E’ l’unico argomento di cui, soprattutto in Italia, siamo signori e padroni. Si passano ore a disquisire sulla cornutaggine degli arbitri, e sugli schemi pro-Zeman o sul lancio lungo a seguire.
Il calcio è l’unico sport che tutti possono non solo seguire, ma anche praticare: basta una palla, un qualsiasi oggetto rotondo, ricavato anche da vecchi giornali accartocciati,che dieci ragazzi si trasformano in guerrieri urlanti nei piccoli cortili della scuola.
Il calcio è l’unico sport che fa sognare. Tutti possono addormentarsi illudendosi che il loro dribbling stretto li farà diventare come Murru, a diciannove anni in serie A.
Il calcio è l’unico sport che ti permette di sentire l’appartenenza a un gruppo, una città. Così come una volta ci si divideva tra Guelfi e Ghibellini, tra Cavour e Garibaldi.
Il vero tifoso di calcio, prova nei confronti della propria squadra gli stessi sentimenti che si provano quando si ama.
Ti rendi conto che la campagna acquisti non ti ha accontentato, che la tua squadra avrà difetti, ti farà soffrire, arrabbiare, trepidare? Non puoi NON amarla. Non puoi far finta di niente. Lei fa parte di te.
Se pure ci provi e riempi quei novanta minuti di passeggiate, escursioni, viaggi nell’altrove, prima o poi ci pensi, ti fai la domanda, urge sapere: cosa avrà fatto il … segue nome.
La maggior parte delle volte però, la squadra da amare ha un articolo femminile davanti, e come una donna è da seguire, vezzeggiare, coccolare, da possedere , sia pure solo nei colori della maglia, fino a perderci la testa.
E come per l’amore occorre essere giovani per tifare concretamente.
Per andare allo stadio con il sole e con il gelo. Con la pioggia che si infila nelle mutande, e il vento che ti fa lacrimare gli occhi. Occorre avere un pizzico di pazzia giovanile per abbracciare lo sconosciuto che hai accanto perché abbiamo pareggiato, o per infilare le più scandalose parolacce contro il terzino che ha messo fuori uso la caviglia del tuo unico e solo attaccante.
Ci vuole costanza e pazienza per fare centinaia di km e non trovare il posto sugli spalti che vorresti , soldi e rinunce per seguire i tuoi colori in trasferta.
Poi si diventa “vecchi”, arriva Sky e ti indivani… e si passa dal fare al solo vedere.
Ci sono libri, pubblicazioni, studi e ricerche sull’importanza del calcio nelle società alle nostre latitudini, ma soprattutto sulle devianze che si innescano sul calcio.
Ora, l’isola di Sardegna da molti anni ha una squadra in serie A, grazie alla sapienza calcistica del Presidente del Cagliari Calcio. Una specie di bullo poco cresciuto che però si intende molto di calcio e negli anni è riuscito a sopravvivere ad un campionato disumano, e a scoprire diversi campioni. L’ultimo: Ibarbo, giocatore colombiano che domenica ha segnato una tripletta.
Ma il Cagliari, per responsabilità proprio della sua presidenza poco rispettosa delle regole, e troppo collusa con la politica, non ha una campo in cui giocare; anzi ce l’ha, ma dentro non possono entrarci i tifosi.
Is Arenas è off limits per gli amanti della propria squadra.
Perché il pretore ha deciso che …. insomma sembra che alla struttura manchino delle cose…
Solo a Is Arenas però, che basterebbe andare in tutti gli stadi italiani, meno che in quello di proprietà Juve, per trovare problemi ben più gravi. Ma al di là della polemica verso una “giustizia” che si differenzia per tempo e per luogo…
una delle immagini più tenere di quest’ultima domenica calcistica, è stato sentire i tifosi FUORI dello Stadio tifare per la propria squadra, gridare forte affinché i giocatori li sentissero, come una serenata all’innamorata chiusa in casa, per farle sentire il suo amore.
Ma questo sonoro appassionato, è stato superato dall’immagine del piccolo Cossu, arrampicato sulla rete, a fine partita, per abbracciare uno dei tifosi che si erano sgolati fuori dallo Stadio, e avevano seguito la partita dalle radioline, come una volta, udito i fischi dell’arbitro, immaginato i volti..
E il nero Ibarbo che corre lungo e dinoccolato, verso la rete butta la maglia oltre il confine invalicabile, ai suoi amorosi sostenitori. Che forse….
I sardi non hanno diritto ai sogni?
Deve arrivare un super prefetto come Achille Serra, incaricato dalla FIGC come consulente perché un Sindaco, un Prefetto, un Architetto, non vogliono assumersi la responsabilità?
Perché hanno paura che un prefetto li metta dentro e butti la chiave..?
I sardi penalizzati e in purgatorio, i delinquenti veri ricoverati di troppa luce.
I sardi sono figli di un Dio minore?
La risposta è SI.